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Intervista al Maestro Lello Esposito





Varcata la porta dello studio del Maestro Esposito ci siamo trovati di fronte l’opera che rappresenta San Gennaro. Il Maestro Esposito ci ha mostrato il suo mondo artistico: Pulcinella, San Gennaro, il Corno e il Vesuvio.

Emozionati e allo stesso tempo sbalorditi, abbiamo iniziato ad intervistare il Maestro, che ci ha trasmesso la sua passione per l’arte rispondendo alle nostre domande con entusiasmo.

Le sue risposte ci hanno lasciati a bocca aperta perché con le sue parole ci ha dimostrato che la sua passione è molto forte!


 

“Buongiorno, Maestro Esposito, siamo degli alunni della scuola media Andrea Belvedere, frequentiamo il progetto PON sulla ‘valorizzazione del patrimonio artistico, storico, culturale, paesaggistico della città di Napoli’.

Per aderire al progetto abbiamo deciso di partecipare al giornalino. Il nostro blog è ‘Il Belvedere online’ cui sono abbinate anche un profilo Facebook e una pagina Instagram su cui pubblicheremo le nostre interviste e le nostre riflessioni e i nostri articoli sull’attualità e su ciò che c’è di bello nella nostra città.


Questo è il primo anno di un’avventura che speriamo possa continuare in futuro, ma sappiamo che solo con impegno e dedizione si raggiungono i propri obiettivi.


Oggi è la prima volta che intervistiamo qualcuno e siamo orgogliosi ed onorati di poter iniziare con Lei, un artista che rappresenta la nostra città in tutto il mondo.


Vorremmo discutere con lei del perché ha intrapreso la carriera da artista e dei motivi per cui è così legato a vari emblemi di Napoli, come per esempio Pulcinella, San Gennaro, il Corno, l’Uovo, il Vesuvio.


Prima di incontrarla ci siamo documentati, abbiamo letto di lei, ma ci fa piacere ascoltare dalla sua viva voce un po’ della sua vita, del suo rapporto su Napoli, delle sue opere.


Affinché tutto vada per il verso giusto, oggi, abbiamo dei ruoli precisi e ognuno di noi si interesserà di un settori prestabiliti.

Infine, le chiediamo il permesso di registrare l’intervista, fare dei video e scattare delle foto se è possibile. Grazie!”


 


Prima dell’intervista il Maestro ci ha accompagnati nel suo atelier e ci ha raccontato di sé, delle sue opere e di ciò che c’è dietro ciascuna di esse. (Coordinamento dell’Intervista a cura di Eliana e Perla)


Il maestro ci ha mostrato le opere esposte nel suo atelier e ci ha aiutati a osservarle e a comprenderle.





La prima è quella realizzata “per i 150 anni dell’Unità d’Italia alla biennale di Venezia, una delle esposizioni più importanti del mondo. Ci ha raccontato che, quest’opera, ad esempio, fa un racconto attraverso i tubi innocenti, di Garibaldi che è simbolo dell’Unità d’Italia. Egli afferma: Ho realizzato un’opera con dei tubi innocenti che vengono usati per le impalcature, per le costruzioni, per rappresentare anche dei momenti tragici dell’Italia, come alluvioni, tragedie e un ricordo ai palazzi dei Quartieri Spagnoli dopo il terremoto dell’Ottanta, palazzi antichi sostenuti tra loro da tubi. Tubi innocenti come metafora, come insieme, come forza per stare insieme. 150 anni di storia. È un’opera che racconta tutto questo”.




Siamo passati poi in un’altra sala dove sono esposti due Pulcinella che sono tra le prime opere del Maestro. Una, in particolare, risale a circa 30 anni fa:Ascesa negata o Pulcinella legato, Pulcinella non abita più qui e diventa viaggiatore del modo”.


Sono rappresentati dei “Pulcinella che vengono mangiati, vomitati e creano una matassa di sangue, di magma del Vesuvio, di pomodoro, di tutto ciò che è rosso, di passione. Quando si sono liberati si rituffano in questo cratere-memoria e c’è questa matassa dove siamo avvolti, dove è avvolta tutta la città. Nell’arte ognuno può vederci delle cose e ci vuole il rispetto di chiunque ci veda delle cose. L’opera si può interpretare in diversi modi. Matassa-città, l’opera è una allegoria della città, di questi spaghetti, di queste viscere che sono metaforiche…Ero molto più giovane e sognavo uno spazio molto più grande che poi è arrivato, perché i sacrifici, l’impegno danno risultati, quindi studiare è importante. Il mio impegno di artista è stato premiato e ho trovato questo spazio più grande e ho la fortuna di stare in questo luogo meraviglioso nel centro storico della nostra città”.



Durante l’intervista il Maestro si sottopone con pazienza e disponibilità alle nostre domande.


 

1. “Diventa il cambiamento che vuoi vedere’’ è una frase che ha inciso su una delle sue opere. Lei è diventato “il cambiamento che voleva vedere’’? (Lucia)


“Diciamo che abbiamo iniziato. Il cambiamento totale non avviene mai, perché c’è sempre qualcosa che si rinnova nella contemporaneità. Quando raggiungo degli obiettivi, me ne pongo altri. Una forza, una molla per andare sempre avanti. Il cambiamento in parte, per quanto mi riguarda, è avvenuto anche nella città. Il miracolo del turismo che abbiamo a Napoli è un segno importante. Non c’è dubbio che tutto vada migliorato e si può migliorare”


 

2. In giovane età, avrebbe mai pensato di diventare così famoso e di ottenere l’appoggio e la stima da parte di tutto il mondo? (Fabiana)


“Questa è una domanda che mi fa emozionare perché ero un bambino e volevo fare l’artista però, poi, non ho potuto studiare, non ho potuto fare delle cose, ma poi ho incontrato uno sventurato peggio di me che era Pulcinella. Che alleato! Che compagno! Sognavo di trovare una dimensione, un equilibrio per poter andare avanti e poi è successo e non me ne sono accorto. Se ne stanno accorgendo gli altri che sono diventato famoso. Io non sono cambiato, sono sempre lo stesso, vado avanti. Certo, è stato una grande soddisfazione, una grande gioia per me poter fare ciò che sognavo di fare, poter fare l’artista, esprimermi attraverso qualcosa che in quegli anni era difficile, impossibile. Io parlavo di Napoli, di pizza, di San Gennaro, di Pulcinella, di Uovo e di tutto ciò che era nella tradizione, che sembrava già scontato e invece non lo era perché era qualcosa che era nascosto dentro di noi e io l’ho portato in superficie e questa è stata la più grande gioia e il più grande riconoscimento che, come artista e come uomo, ho potuto vedere”.


 

3. Napoli è la sua fonte di ispirazione e Lei ne raffigura soprattutto alcuni dei suoi numerosi simboli. Girando per il mondo, non ha mai pensato di illustrare, di ispirarsi ad altri elementi internazionali che l’hanno colpita? (Sofia)


“Sicuramente ciò è successo perché la crescita è avvenuta attraverso il viaggio, il confronto. Innanzitutto, non ho tradito il linguaggio e la riconoscibilità del mio territorio, della mia città. Quello che ho imparato nel mondo sono i sistemi, in qualche modo, come esprimere in una maniera differente tutto quello che volevo rappresentare. Quindi, Pulcinella nei luoghi comuni era il Pulcinella con la maschera nera, il vestito bianco e che mangiava gli spaghetti. Con tutto questo ho iniziato una metamorfosi. L’identità e la metamorfosi. La metamorfosi avviene attraverso i panorami dell’arte contemporanea, andando a New York, a Berlino, a Bonn, a Londra, a Parigi. Mi sono confrontato con il mondo dell’arte e ho capito che potevo andare avanti attraverso i materiali, attraverso le istallazioni. Cosa è un’istallazione? È qualcosa che si adatta allo spazio. Ad un certo punto a Pulcinella tolgo la maschera, utilizzo un metallo, non il cuoio della maschera, non la terracotta, non il bronzo, metto una maschera, la faccio di ghisa, di ferro e faccio cento maschere e le butto a terra (quelle che sono dietro di voi). Questa è un’istallazione moderna. Pulcinella perde il corpo e diventa un’istallazione che possiamo, poi, mettere in tanti modi, su una parete, appesa, si adatta allo spazio. Quindi ha un linguaggio universale”.




4. Le è mai capitato, in una scultura, di commettere un piccolo errore tale da compromettere l’intera opera? (Antonio)


“Ma, sempre faccio errori, in tutte le mie opere, sempre! È normale! Non esiste la parola errore. Ci sono alcune cose in cui bisogna essere precisi. I ragazzi, i bambini, fino ad una certa età, sono artisti straordinari perché lavorano istintivamente e si esprimono nella lo

ro maniera. Sono tutti differenti i lavori dei ragazzi, simili, ma differenti perché ognuno ha una sua personalità. E, quindi, vediamo un occhio storto, i denti fatti in un certo modo. Tutto questo, poi, lo ritroviamo nei grandi artisti, come in uno dei grandi artisti americani della Pop Art, Basquiat, che voleva diventare, essere un bambino e aveva, volutamente, un linguaggio di disegni imperfetti. C’è una pittura di tipo tradizionale, figurativo realistico che deve essere eseguita con precisione. Se, invece, si ha una mano libera, dove si impone il proprio stile, ci si può permettere anche di sbagliare. Ho imparato una cosa, l’errore diventa un pregio perché diventa una caratteristica del lavoro. Per esempio, c’è un mio Pulcinella che per me era talmente bello, ma io volevo rappresentare dell’altro e, a quel punto, gli ho fatto i difetti. Ho preso una mazza di legno e l’ho trasformato, finché non ho fissato un urlo che esso lanciava. Quindi l’errore non esiste nell’arte, ma esiste la freschezza della rappresentazione. L’arte deve essere una libertà”.


 

5. Cosa direbbe a chi ancora non la conosce? (Maurizio)


“Cerco di raccontare, di raccontarmi, di mostrare le mie opere. Un artista deve mostrare le sue opere, perché sono loro a parlare per lui. Devo dire che sono stato molto fortunato. Pensa, non ho mai messo foto delle mie opere su Internet su cui ho poche cose. Il grosso viene fatto da chi mi viene a trovare, quindi c’è una comunicazione trasversale, spontanea, naturale. Mi piace raccontarmi a chi non mi conosce e lo faccio spesso. Ciò avviene anche in maniera casuale. Ad esempio, a volte, lascio la porta aperta e entrano delle persone. Diciamo che l’arte dovrebbe parlare da sola. L’artista non parla, l’artista non racconta. Io, però, in qualche modo, questo l’ho voluto fare per aiutare a comprendere l’importanza di questo lavoro che stavo facendo, che andava in una direzione di bene comune, di collettività. Ho capito che quella era la strada e sono diventato sempre più napoletano. Ho guardato sempre più dentro di me, dentro la città, in questi simboli che oggi sono diventati universali.

Due anni fa mi è capitato di fare una mostra con alcuni amici americani a Los Angeles. La curatrice, la gallerista mi disse di non portare il Vulcano perché a un artista che era venuto a trovarmi erano talmente piaciuti che si era messo a fare i vulcani con il mio stile a Los Angeles, in America. Ma io non mi sono arrabbiato. Mi ha copiato, mi ha plagiato, ma il mio lavoro, il mio percorso artistico è stato questo, quello di dare informazione dell’importanza della nostra identità, dei nostri simboli a livello mondiale. Pensiamo a Pulcinella, al cibo, agli spaghetti, alla pizza, sembrano luoghi comuni, invece pensiamo all’importanza di tutto questo. Pensiamo a tutto quello che sta avvenendo nel mondo. Vediamo, negli ultimi anni, la pizza cosa è diventata. Vediamo i grandi chef in televisione, pensiamo a Gino Sorbillo, pensiamo a tanti pizzaioli straordinari. Tutto questo sta arricchendo la nostra tradizione, la nostra contemporaneità. Quindi l’arte serve anche a questo. La metamorfosi continua, bisogna trovare nuove strade per migliorarsi e migliorarci”.


 

6. Com’è nato il caratteristico stile delle sue opere? (Aurora)


“È nato spontaneamente. Da piccolo modellavo la plastilina, poi il das, poi sono passato all’argilla, alla cera, al bronzo, ai metalli. Quindi, è la continuità perché man mano la conoscenza ti fa crescere. L’importante è capire cosa vuoi fare nella vita. Io volevo fare l’artista e volevo fare quello che ho fatto e volevo mascherare il mondo. Quindi incomincio con una piccola maschera. Ho cominciato col mettere una maschera sul Vesuvio di 45 tonnellate, gli occhi del Vesuvio. Ho messo la prima maschera, forse la più grande maschera di pietra vesuviana mai realizzata. Sta sul Vesuvio. Se vai dietro alla maschera, dove ci sono due fori, vedi la città di Napoli all’incontrario. La maschera che è un elemento universale”.


 

7. Qual è la sua opera preferita? (Chiara)


“Forse l’ultima. Ci sono delle opere storiche, non sono le mie preferite, ma rappresentano un percorso. Qualche volta mi è capitato, perché avevo bisogno di spazio, perché non mi convincevo delle cose, di prendere una mazza o un martello e di rompere delle cose. Mi è capitato di trasformare delle opere storiche o di prendere un quadro già fatto e sono ritornato sui colori perché, magari, non avevo una tela bianca in quel momento e ho sacrificato una tela. Magari quella pittura che ho fatto successivamente era quella che più mi piaceva. L’opera che più mi piace è forse quella che non ho ancora realizzato e, quindi, vado avanti alla ricerca di qualcosa di meglio”.


 

8. Qual è stata la sua prima opera? (Arianna)


“È stato un Pulcinella. Avevo 16 anni, lo mostrai ai miei amici, ne feci 10 e cominciai a venderli. Non ho più smesso!”


 

9. Per lei l’arte è un lavoro o una passione? (Emanuele)


“È una passione, ma come tutte le passioni deve essere curata, bisogna avere senso di responsabilità e, quindi, diventa lavoro. Significa responsabilità, etica, norme. Significa avere uno spazio adeguato, contribuire pagando le tasse, dare posti di lavoro, quindi c’è un sistema economico che, in ogni caso, è necessario e diventa lavoro, professione. Ci sono molti modi di fare l’artista. Ci sono hobbisti che fanno altri mestieri, ma fanno delle cose bellissime, dei quadri belli, delle sculture belle nelle proprie case. Se, invece, vuoi fare qualche cosa di grande hai bisogno che diventi anche un lavoro, un lavoro anche di condivisione, di spazi e, quindi, è faticoso fare l’artista, certe volte perché abbiamo bisogno di spazio, di tecniche, di laboratori.

La passione è più forte di qualsiasi cosa. Anche se mi stanco, a fine giornata sono felice perché ho fatto una bella giornata di lavoro”.


 

10. Pulcinella è solo un personaggio o una persona reale? Che cosa incarna? (Dario)


“Pulcinella è un contenitore, è un concetto di contenitore in cui metto di tutto: sono io, è la mia vita, la mia esistenza, quello che vedo, quello che mi sta intorno, quello che percepisco, le mie emozioni. In questo contenitore metto di tutto e di più ed escono fuori delle opere che possono significare qualcosa o altro. È un contenitore universale”.


 

11. Perché ha scelto San Gennaro, il Corno come principali soggetti delle sue sculture e dei suoi quadri ? (Valerio)


“Ad un certo punto Pulcinella, questo mio compagno che si è affiancato a me, mi ha aiutato a decifrare, a sviluppare altri progetti, altri lavori, incontrando e lavorando su altri segni e simboli della città che sono il Corno, San Gennaro. Quindi ho cominciato a comunicare come avevo fatto con Pulcinella. In contemporanea ho comunicato attraverso San Gennaro, il Vulcano, la stessa Maschera da sola, o il Corno, o la Sirena, l’Uovo, i Teschi, tutto quello che, in qualche modo, è una simbologia presente a Napoli, cercando di comunicarla in modo che diventassero delle icone di comunicazione per la città e anche una ricerca artistica importante. È attraverso questi segni che appartengono con grande forza alla nostra identità, che cerco di dare forza, nuova linfa, nuove possibilità di sviluppo artistico (almeno per quanto mi riguarda). Quindi ho utilizzato qualcosa di riconoscibile però, cambiandone in qualche modo i significati. Quindi, dei contenitori che in qualche modo hanno anche contenuto; oppure una ricerca continua per cercare di cambiare qualche cosa che esiste da sempre. Ciò è possibile attraverso la ricerca artistica, le dimensioni, il colore, i materiali”.




12. Cosa ne pensa dei social? Preferisce più Instagram o Facebook? (Mattia)


“I social mi piacciono molto, ma li uso poco e avrei bisogno della vostra collaborazione. Quindi, siete tutti assunti per aiutarmi a capire come si fa. Ho bisogno di voi. Mi piacciono moltissimo, però credo che ci sia bisogno dei ragazzi per gestirli bene. Se qualcuno di voi mi dà una mano… Chiedo la vostra collaborazione. Comunque, sicuramente, sono modalità nuove, importanti. Ecco, li ho sul cellulare, li utilizzo, però, voi siete molto più bravi, in questo siete straordinari. Noi artisti abbiamo bisogno anche di giovani bravi che ci affianchino nella comunicazione. Sono mezzi straordinari, quindi devo migliorare, devo studiare un poco queste cose. Ogni tanto realizzo dei disegni con il cellulare. Ho la pennina e, a volte faccio dei disegni in digitale. È una cosa bellissima. Anche voi potete disegnare in digitale anche perché escono fuori delle cose interessanti. Devo migliorare, devo studiare un poco queste cose”.


 

13. Perché ha aperto un atelier a New York e non in un’altra città? (Vincenzo)


“Avevo la passione di New York. Ad un certo punto che cosa succede? Negli anni comincio a frequentare New York. Una ventina di anni fa vedo un progetto che aveva iniziato Giuliani che era il sindaco della città americana, con tolleranza zero, una brutta parola. Eravamo a Manhattan e la vedevo come Napoli. C’era un centro da Times Square, nella parte centrale, ma in molte zone non si poteva andare perché iniziavano molte periferie. Dalla 42^ strada ci sono dodici Avenue e poi ci sono le Street. Alla 42^ vanno a salire fino ad arrivare alla 60^ a Central Park, fino ad arrivare ad Harlem e al Bronx e, invece, giù si arriva fino al Ponte di Brooklyn. Ho aperto il mio laboratorio tra la 27^ e la 10 Avenue. Erano delle zone dove costava pochissimo aprire uno studio. Poi, ci pensate, io, Lello Esposito a New York! Una cosa meravigliosa! Che cosa ha New York e che cosa ho imparato? La velocità, i progetti. Che cosa vogliamo fare? Che cosa deve diventare questa città? E quindi, man mano, in venti anni ho visto uno sviluppo straordinario della città di New York, quindi per questo è stato importante per me andare in America. Ed ecco, per me, piazza San Domenico Maggiore è nel centro storico, il cuore pulsante di un possibile sviluppo della città che va verso le periferie affinché le periferie diventino nuove centralità. Cosa succede a New York? Apro in questa zona degradata, però tutti gli artisti aprivano in queste zone degradate. Per me è stato meraviglioso confrontarmi con il mondo dell’arte americana. Io non “speak english”, io “speak napolitan”. Parlando napoletano artisticamente, sono stato accolto molto bene perché portavo una storia differente. La diversità come forza, come valore aggiunto. È stata importante anche la mia presenza a New York in un mondo che ho conosciuto bene e, quindi, negli anni ho fatto questa esperienza senza abbandonare Napoli e facendo questi ping pong Napoli/ New York sugli aerei. Andavo, venivo. Facevo eventi qua, facevo eventi là. Questo sicuramente mi ha arricchito perché mi sono confrontato con il mondo. New York per me ha significato il cambiamento, un modo per confrontarsi con altri artisti con una cultura molto diversa, ma anche un modo per espandere la cultura napoletana”


 

14. Ha mai collaborato con qualche altro artista? Vuole ringraziare qualcuno? (Giulio)


“Purtroppo non c’è mai stato il tempo. Qualche piccola cosa l’ho fatta con un amico in particolare che fa street art. Mi piacerebbe fare qualcosa a quattro mani. Ho molti amici artisti, c’è un confronto sicuramente. Molti artisti mi hanno influenzato come io, sicuramente, ho influenzato loro. La collaborazione è sempre bella. Purtroppo non ho avuto molto tempo per avere un confronto, una collaborazione. Mi è capitato solo una volta. Ho fatto un quadro a quattro mani. Abbiamo dipinto una tela insieme. Proprio ieri, per un progetto di street art, mi è stato proposto un lavoro da un artista.

Jorit è un artista molto bravo. I suoi volti sono riconoscibili. Mi auguro che tutto il suo lavoro lo faccia nel mondo. È importante che un artista come lui vada in giro per il mondo a raccontare questo suo modo di dipingere. È un eccellente artista che ha fatto delle belle cose a Napoli.

Siete contenti? Forse le mie risposte sono state molto lunghe. Volevate delle risposte più precise. Forse ho parlato troppo, ma penso di avervi dato delle informazioni”.


 

“La ringraziamo infinitamente del tempo passato con noi, di averci fatto scoprire un mondo completamente diverso dal nostro. Speriamo le abbia fatto piacere vedere come lavoriamo e ci auguriamo in una prossima esperienza insieme”. (Perla)


 

“Grazie a voi, siete molto bravi, molto professionali, eticamente corretti. Questa è una cosa importante, l’etica. Eticamente corretti. Che significa? Sembra una cosa banale, invece è una cosa importante e voi siete veramente così esperti, già da piccoli esprimete questa compostezza, questa professionalità. C’è un’eccellente regia nell’organizzazione e, vi assicuro, neanche nei grandi si vede, perché sono molto più confusionari. Bravi! Noi abbiamo bisogno di voi assolutamente. Siete bravissimi e vi faccio i miei complimenti. Andrete avanti alla grande e sono sicuro che con gli anni farete tutte cose belle. Grazie per avermi scelto.

Vi mostro lo studio di là”


 

L’Artista, infine, ci ha portati nel suo laboratorio, un luogo magico. C’erano tutte le sue “bacchette magiche”: pennelli, vasetti di pittura, tele….. un tavolo pieno zeppo di magie. Nell’aria si percepiva l’odore di pittura fresca e si sentiva un sottofondo di musica napoletana che ti faceva sentire a casa.




“Sperimentazioni di vetro resina. Ho lavorato molto sull’uovo. Ab ovo, alle origini. Ci sono un vulcano rosso e uno bianco.

Che cosa


ne pensate? Vi è piaciuta questa visita?


In una delle mie prime metamorfosi con Pulcinella ci si chiedeva chi c’è sotto questa maschera. C’è questo uovo, ci sono delle teste che io disegnavo da bambino e che ritornano. Poi, invece di mettere la maschera ora ci metto dei segni, un simbolo che utilizzavo e, quindi, è una ricerca continua e di volta in volta nascono nuove modalità di espressione.


 

Forse conoscete l’Uovo che ho donato ai giardinetti di Via Ruoppolo. Anni fa rubarono le mani e tentarono di rubare l’uovo. Io lo misi per i bambini. Stava per nascere mio figlio, ventidue anni fa e, quindi, feci questo dono a questo parco. Tentarono di rubare l’uovo e le mani e fecero un’ammaccatura sulla parte alta dell’uovo. Io ci andai e misi un cuore. Dissi: “Noi siamo più forti” e il cuore è rimasto. Lo misi all’altezza dei bambini perché i bambini lo dovevano toccare. Le mani erano molto belle e tutti le toccavano come oggi toccano il naso del Pulcinella di Vico Fico Purgatorio che oggi è diventato l’opera più fotografata del centro storico. E che ho donato alla città di Napoli. Sono stato fortunato nel poterlo fare”.







Ndr: il presente articolo è frutto del lavoro di tutta la redazione. Ogni redattore ha svolto il compito assegnato con impegno, attenzione e professionalità, come ha anche sottolineato il Maestro Esposito nel corso della visita al suo atelier.


Grazie ad Eliana e a Perla, per il coordinamento dell’intervista, ai fotoreporter Giada e Daniele, ai videomaker Alberto e Valentina, ai tecnici audio Christian e Simone a tutti gli intervistatori, Antonio, Mattia, Aurora Nour, Maurizio, Vincenzo, Valerio, Giulio, Fabiana, Emanuele, Lucia, Chiara, Sofia, Arianna, Dario.

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