Faccia a faccia con il campione olimpionico Franco Porzio
Franco Porzio, classe 1966, è uno dei pallanuotisti più forti al mondo. Durante la sua carriera ha vinto letteralmente tutto, dagli scudetti con la Canottieri Posillipo fino a Mondiali e Olimpiadi con la Nazionale Italiana. Dopo essersi ritirato insieme a suo fratello Pino, ha fondato la piscina Acquachiara, che è la piscina dove faccio pallanuoto e che prende il nome di sua figlia. Franco è presidente e amministratore delegato della piscina.
Ho deciso di intervistarlo perché è uno dei miei idoli e perché desidero che un giorno anche io possa sfiorare vette come quelle che ha raggiunto lui. L’ho intervistato all’Acquachiara, nel suo ufficio; alle nostre spalle una collezione di trofei.
M: Iniziamo dal principio: quanti anni aveva quando ha cominciato a praticare la pallanuoto?
F: Ho iniziato che avevo 10 anni. Però, già all'età di quattro o cinque anni mio fratello e io eravamo sempre in piscina alla mostra d’Oltremare. La sera, il sabato e anche la domenica c'erano partite di serie A della Canottieri Napoli. Erano gli anni d'oro, la Canottieri giocava contro la Rari Nantes Napoli e altre squadre ed io, insieme a mio fratello e mio padre, vedevo tutte le partite e così mi sono appassionato a questo sport.
M: Come iniziò la sua carriera?
F: Stando sempre vicino a mio padre, che lavorava lì perché aveva la gestione dell’impianto, frequentavo i giocatori, erano nostri amici; siccome ero piccolo, conoscevo tutti. Piano piano la pallanuoto è diventata una grande passione.
M: Cosa ha provato a vincere le Olimpiadi?
F: Ho provato la più grande emozione della vita dopo quella dei figli. È stata una cosa bellissima soprattutto per un motivo: da bambino inizi a fare sport e lo fai per divertirti, per stare con gli amici. Poi piano piano cresci e capisci che hai le qualità giuste per stare in un gruppo di un certo livello. Però, nel mio caso, l'obiettivo sin da piccolo è sempre stato quello di partecipare alle Olimpiadi. E così, arrivato a venti, ventun’anni, sono andato alle Olimpiadi a Seul. Quello è stato per me già un grande coronamento, il frutto di tanti sacrifici, tanto lavoro, tanto impegno: era un sogno. Ma non solo! Abbiamo partecipato, ma poi abbiamo anche vinto la medaglia d'oro, e la medaglia d'oro olimpica è la più importante che esiste…e nella vita ti rimane, come se fosse un marchio a fuoco che ti accompagnerà per sempre. Questa cosa io me la porto dentro, non solo per la soddisfazione personale, ma anche per aver rappresentato una città, un Paese, una famiglia, questo è per me un motivo di grande orgoglio. Ed anche di fiducia in me stesso.
M: Eppure, si è ritirato, insieme a suo fratello, proprio all'apice del suo successo. Perché?
F: Con mio fratello abbiamo 13 mesi di differenza e tutto quello che ho fatto io l’ha fatto anche lui: abbiamo giocato insieme, dalle giovanili fino alla Medaglia d'Oro Olimpica. Che cosa mi ha spinto a ritirarmi proprio all'apice? Noi abbiamo sempre vinto tutto: in qualsiasi tipo di manifestazione a cui abbiamo partecipato, abbiamo vinto. Abbiamo vinto gli Scudetti, abbiamo vinto le Coppe dei campioni, abbiamo vinto le Coppe delle coppe, le Olimpiadi, i Mondiali, gli Europei, le Universiadi, i Giochi mediterranei…di tutto di più. Io sono del parere che, come nella vita, nello sport bisogna lasciare nel momento in cui si è all'apice. Alla fine ci sentivamo pieni, perché avevamo realizzato tutti i nostri sogni e quindi era anche giusto, nel rispetto della nostra carriera, nel rispetto della società cui appartenevamo, che era il Posillipo – abbiamo sempre e solo giocato nel Posillipo – lasciare in quel modo.
M: Veniamo alla sua carriera dopo quella pallanuotistica. L' “Acquachiara”, prima di essere ciò che è ora, era un edificio in stato di abbandono e di degrado. Perché ha deciso di renderla ciò che è adesso?
F: Questo era un immobile abbandonato e distrutto. L'avevano costruito nel 1983, subito dopo il terremoto, ed è stato chiuso dall’83 al ‘97. In quei 14 anni, in parole povere, l’hanno distrutto, abbandonato, spogliato di tutto. Chiamarono tante persone prima di me, ma senza successo. Alla fine, quando mi chiamarono, nessuno aveva il coraggio di mettere in moto questo progetto. Essendo uno sportivo mi piacciono le sfide difficili: sapendo che era una cosa complicata, io dissi: «Ci voglio provare». E noi, piano piano, con un gruppo di ragazzi che hanno l'amore per la pallanuoto, per lo sport e che sono atleti o ex atleti, che studiavano all'Isef [Istituto superiore per l’educazione fisica, l’attuale facoltà di Scienze motorie n.d.r.] e poi sono diventati allenatori, ci siamo messi insieme e, un pezzo dopo l’altro, l'abbiamo ricostruita. Oggi questa struttura funziona su quattro piani: non è una piscinetta! Noi l’abbiamo messa a posto mano mano e adesso sono 25 anni che siamo qua. Abbiamo fatto tanti sacrifici, affrontato tante situazioni veramente complicate, però abbiamo avuto anche tante soddisfazioni, perché siamo partiti da zero e oggi siamo arrivati a ben figurare in tutte le discipline anche a livello internazionale.
M: Le squadre giovanili dell'Acquachiara si distinguono in vari campionati. Secondo lei c'è un futuro per la pallanuoto a Napoli?
F: Innanzitutto grazie della domanda. Sono stato intervistato di recente da una radio e mi hanno chiesto proprio questo. Io penso di sì, che a Napoli la pallanuoto avrà sicuramente un grande futuro, ovviamente bisogna lavorare bene sui giovani: ai giovani vanno dati spazi, tecnici preparati, qualificati non solo tecnicamente, ma anche sotto il profilo educativo, perché diventino un riferimento positivo che i ragazzi possano prendere ad esempio. Bisogna, allo stesso tempo, essere supportati dalle famiglie, che fanno sacrifici per accompagnare i ragazzi nello sport. Se si creano queste condizioni, in un tempo anche breve, possiamo avere grandi risultati. Noi dell’Acquachiara comunque non ci possiamo lamentare dei giovani, perché abbiamo i settori giovanili che al momento, a livello nazionale, sono tra i migliori: tra gli under 20, under 18, under 16, under 14 abbiamo ottime squadre, poi c’è il gruppo dell'Acquagoal, insomma la situazione è abbastanza favorevole, bisogna solo lavorare.
M: Adesso, da pallanuotista dell’Acquachiara le chiedo: quali sono le prospettive future per la pallanuoto femminile a Napoli? E l'Acquachiara, cosa può fare in questo campo?
F: La pallanuoto femminile a Napoli ha una tradizione importantissima perché la nostra è una delle principali città che le ha dato sviluppo, negli anni a cavallo tra i ‘70 e gli ‘80. Ovviamente, è più difficile mettere insieme le donne, le ragazze, perché le ragazze arrivate a una certa età lasciano, vanno via, quindi poi bisogna ricreare le squadre. Ovviamente, l’intento è di quello di far sì che la pallanuoto femminile possa svilupparsi in modo tale da riportarci ai livelli di una volta, però bisogna creare un gruppo forte, un gruppo di ragazze che sia più nutrito, più numeroso per poter fare poi delle squadre importanti.
M: Ma perché proprio le donne lasciano arrivate a una certa età? Forse perché, a differenza dei ragazzi, sono costrette a scegliere tra questo sport e il fidanzato, o lo studio? O perché, magari per motivi culturali, non sono supportate fino in fondo dalle famiglie?
F: Sono vere un po’ tutte queste cose. C’è anche da dire che la pallanuoto è uno sport talmente faticoso che se non ti alleni tutti i giorni vai in estrema difficoltà. Allenandosi di meno, allenandosi poco, uno si rende conto che non ce la fa, che diventa pesante, quindi si allontana. Ma questo vale anche per gli uomini: io stesso lo vedevo sul mio fisico, se avevo l’influenza e per una settimana non mi allenavo mi ci volevano tre settimane per recuperare.
M: Secondo lei, perché la pallanuoto è così aggregante per i ragazzi?
F: Come dicevamo prima, è uno sport di squadra e come in tanti altri sport di squadra, praticandolo si entra in un mondo, in un ambiente bello, sano, dove si trova un'atmosfera familiare. Soprattutto in determinati settori c'è quel calore, quella partecipazione nei quali un ruolo molto importante hanno gli allenatori, gli istruttori. Stando tanto tempo insieme, crescendo insieme, sacrificandosi insieme si condividono tante cose, belle e brutte. La cosa più bella alla fine sono i ricordi che il giovane sportivo porterà con sé per tutta la vita. Io, per esempio, tra i ricordi più importanti ho quello di quando ho partecipato ai Giochi della Gioventù: avevo 13 anni e mi ricordo quell’esperienza come una delle cose più belle che ho vissuto da atleta.
M: In che modo lo sport può essere uno strumento educativo, soprattutto in un territorio difficile come il nostro?
F: Grazie per questa domanda, Margherita. Allora, per prima cosa è fondamentale avere degli impianti sportivi che siano aperti. Questi impianti non solo devono essere aperti ma, come dicevamo prima, devono avere delle società, delle associazioni, dei presidenti, dei dirigenti, dei tecnici, degli istruttori che siano dei riferimenti positivi, per creare un ambiente sano in cui i ragazzi non solo vengano a fare sport, quindi per stare insieme, ma anche per capire, per comprendere che lo sport aiuta nella vita, per imparare il rispetto, la disciplina, ad essere leali con le persone che si hanno di fronte e accanto. Quindi lo sport serve anche nella vita, questo è fondamentale: gli impianti aperti, le associazioni e gli allenatori sono da riferimento perché educano i ragazzi, non solo alla pratica sportiva, ma anche al senso civico, alla vita civile.
M: Infine vorrei chiederle un messaggio da campione per i giovani lettori de «ilBelvedereonline».
F: La mia vita mi ha insegnato che senza impegno, senza sacrificio non si può arrivare a nessun risultato. Passione, umiltà, sacrificio: questo è quello che mi ha insegnato lo sport. Qualsiasi risultato che si ottiene senza queste caratteristiche ha dietro qualcosa di poco chiaro o non autentico. Una casa va costruita mattone su mattone, perché possa resistere: se salti le tappe la casa è destinata a crollare. Solo attraverso sacrificio, lavoro e impegno è possibile conquistare risultati duraturi. Questo ho imparato dallo sport e dalla vita.
M: Grazie mille! Spero che possa venire a trovarci in redazione.
F: Grazie a te di questa bella intervista, verrò volentieri!
Margherita Giustolisi
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